La società occidentale odierna è definita comunemente società della comunicazione. Il verbo «comunicare» apre vasti spazi che si perdono nell’anonimato di una pluralità indefinita; la comunicazione è divenuta la finestra principale dalla quale ognuno volge il proprio sguardo sull’umanità. Tuttavia, la comunicazione in se stessa – il «dire pur di dire», si potrebbe affermare parafrasando Heidegger – ha assunto maggiore importanza rispetto ai contenuti e al destinatario a cui la comunicazione medesima si rivolge. Questa constatazione evidenzia un paradosso: la possibilità di comunicare a, e con il mondo intero si accompagna a una scarsità d’argomenti e a un’insufficiente considerazione dell’altro. Detto altrimenti, una società, quale è la nostra, che vanta il superamento d’ogni forma d’isolazionismo – ne è un esempio l’annullamento dell’isolamento nazionale attraverso l’abbattimento delle frontiere e l’apertura al mercato globale – deve fare i conti con gli spettri dell’isolamento che in essa si generano. Il problema che a questo punto si pone è se sia possibile parlare di «pubblico» (dimensione pubblica) a prescindere dall’«altro» (alterità). Immediatamente, e a ragione, verrebbe da rispondere di no; eppure, l’occidente contemporaneo, con la pubblicizzazione dei prodotti industriali, con le nuove tecnologie della comunicazione, cerca la dimensione pubblica nell’annullamento dell’alterità d’altri.
Divresti riproporli questi bellissimi scritti. All'inizio non avevi così tanti visitatori. Sono post molto profondi.
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