domenica 24 febbraio 2013

Cosa ne facciamo del nostro tempo?



 Viviamo in un epoca in cui ogni spiritualità si converte in profitto.
    Tutto, viene fatto in vista di un guadagno. Un epoca in cui la vita stessa è una mascherata. Che la felicità del vivere, è falsa, come l'arte che la esprime. In una simile epoca di perduta genuinità è forse la follia, la soluzione per la nostra esistenza?

Karl Jaspers

Italiani brava gente, si diceva fino a poco tempo fa, ma ora il mondo è pieno di prove del contraio.
Queste prove sono sia all'interno del nostro tessuto sociale, ma anche nel mondo internazionale, dove le nostre "ciniche bravate" sono sotto gli occhi del pubblico giudizio. Non ultimo i due militari prigionieri in un resort indiano.
Ma che fine ha fatto quello che chiamavamo il carattere italiano? E' stata ormai relegata all'infimo ordine di Indole? Oppure è un sottoprodotto culturale, come tutte le culture sono destinate a cambiare, ma nel nostro caso solo a peggiorare, diventanto sottocultura?
Un po' di tutto io credo, talmente è variegata la nostra Italia, talmente sono le persone che vanno per contro proprio snobbando tutto e tutti. Ovviamente tutti quelli che se lo possono permettere, quelli che non possono in ogni caso bramano.
Ci sarà un senso per  cui siamo precipitati così in basso? Noi che siamo stati e per certi versi ancora lo siamo gente dalle mille virtù e dalle mille creatività, siamo ora come tenuti in catene da quella che chiamiamo la casta e che sembri dipensiamo esclusivamente da loro. Non tutto viene dal malaffare della cricca parlamentare o partitica, cosa ovviamente incontestabile, ma insufficiente per me.
Mi faccio quindi, non per la prima volta, questa semplice domanda, bittandola un po' in filosofia come è mia abitudine:
Cosa ne facciamo del nostro tempo?

Noi italiani siamo quelli che riducono il tutto all'ultimo minuto. Rimandiamo sempre, procrastiniamo ad oltranza, attendiamo. Il tempo sta scadendo, ma ancora ci comportiamo come se non finisse mai e ce ne fosse sempre dell'altro. Ci affidiamo alle provvidenzedi manzoniana memoria.
E del Manzoni abbiamo preso molto, la provvidenza ma anche frasi come " Se uno il coraggio non l'ha non se lo puo dare" famosa affermazione di Don Abbondio  nei Promessi Sposi.
No dico io, il coraggio lo deve trovare, eccome! Coraggio di parlare, di alzare la testa o di voltarsi dall'altra parte come segno di sdegno, come ha fatto quella scrutatrice oggi nel seggio dove ha votato Berlusconi.
Un'allarmante scena pubblica raddoppia un comportamento privato molto diffuso che, a quanto sembra, ciascuno di noi considera normale e di cui molti se ne compiacciono. Non so quanto un simile comportamento abbia a che fare con la banalità del male, ma so che molti di noi dipendono esclusivamente dai passaggi di denaro, legali e illegali e ne traggono grandi profitti promettendo anche la libertà.
Esiste un terreno di coltura grazie al quale questo male ha potuto attecchire e diventare rigoglioso. E' giusto analizzare la società per individuare le storture, ma analizziamo anche noi stessi, analizziamo il terreno che gli si offre e magari cerchiamo di accorgerci che esso appartiene, come quasi  una dote, alla nostra vita personale.

Perchè fare oggi quello che potrei fare domani?
E' diventato quasi un imperativo questo modus vivendi regolando le nostre condotte, fino ad arrivare a quella che io chiamo " la stanchezza del voto" con la conseguente affermazione del non-votare.
Così tutti attendiamo la scadenza, l'ultimo minuto, per onorare un impegno o solo per rispondere a una domanda.
Non ci accorgiamo nemmeno più dell'assurdità di certe risposte che diamo, usando l'interlocutore come un mero oggetto da possedere.  La tipica domanda e risposta è la seguente:
"Vieni a cena da me stasera?" risposta " mah, vediamo"
Vediamo cosa? che si presentino occasioni migliori? Situazioni più accomodanti? O è si o è no, non esiste far attendere chi invita a casa propria, è mancanza di rispetto. Eppure lo fanno in tantissimi.
Questo attendismo, questo rimandare nasce dal cercare di ottenere tempo in cambio di altre opportunità o altre voglie. Come se ci illudessimo, nelle cose di poco significato come in quelle importanti, ottenere un guadagno di tempo e di libertà, mentre poi accade proprio il contrario, perchè aspettare significa non prendere decisioni.

Abbiamo in mente una strana idea della vita. Essa si basa appunto sul ritardo, dove dalla semplice risata o battutina per tardato appuntamento si arriva a non pianificare il futuro, a non fare progetti a lungo termine. Fanno tutti parte della stessa cultura, volente o nolente.
Il tedesco comune sa già in anticipo dove la società germanica arriverà fra due o cinque anni, questo succede anche perchè quel tedesco, come quasi tutti, si presenteranno sempre puntuali anche solo per una birra.
Tutto nasce dal proprio tempo, non si sfugge a questa regola.
Non ho mai solidarizzato con chi cronicamente arriva in ritardo, ho poi sempre contrastato chi, oltre farne una regola di vita, getta in pasto ai porci chi invece il proprio dovere lo fa. Anche arrivando sempre puntuale.
Quando andavo a scuola avevo a volte il dilemma: ripasso stasera o domani mattina? Quasi mai studiavo la sera, ma di mattina con gli occhi appannati e rosicchiando sempre qualche minuto all'alzarsi presto.
Siamo fatti così noi italiani e ci permettiamo anche il lusso di prendere in giro chi si comporta diversamente.
Ci sentiamo più furbi e giudichiamo gli altri più tonti, meno scaltri, andiamo fieri dell'arte di arrangiarci, siamo poi bravissimi a piangere sperando nella carità di qualche popolo nordico di turno.
Forse è venuto il momento di mettere da parte questa nostra strana fierezza. Rimbocchiamoci le maniche, credo che sia  l'ultimo appello stavolta.

Lorenzo



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