venerdì 23 agosto 2013

Dissertazione (tecnica) sul caso Berlusconi dopo la sentenza di Cassazione




Ho ricevuto un bellissimo commento su un mio post  dal Prof. Dott. Federico Gustavo Pizzetti, amico e contatto su Facebook,  brillante giovane professore  di Diritto Pubblico presso l'Università degli studi di Milano, riguardo il tema della incandidabilità di Berlusconi e dell'applicazione della legge Severino, ricordo votata anche dal PdL.
Pongo l'accento su una parte del commento, che è una vera e propria dissertazione, dove spiega che parlare di questo argomento con argomentazini tecniche e non politiche è una forma di rispetto della legge, un piegarsi a essa e non un tentativo di personalizzarla da parte del potere politico.
Anche da questo blog ringrazio il professore di cuore

Lorenzo

Caro Gianlorenzo, provo  darti una risposta "tecnica" anche se (come spesso capita nel diritto, che non è affatto così cristallino anche a non voler essere azzeccagarbugli) le cose sono piuttosto sfumate.
Il d.lgs. Severino, varato dal Governo Monti, adottato su delega del Parlamento votata anche dal PDL (la c.d. legge Severino), prevede che in certi casi stabiliti un cittadino non possa essere candidato (per quel che qui interessa: al Parlamento) e demanda alla magistratura il controllo, in sede di formazione delle liste, sui requisiti, o meno, di candidabilità. 
Se la condizione di incandidabilità sopravviene dopo le elezioni (politiche), quando cioè il candidato è stato oramai eletto e l'elezione convalidata, essa si converte in decadenza, in ossequio ad un principio generale che stabilisce che la SOPRAVVENUTA perdita dei requisiti per ottenere l'ufficio elettivo (durante il periodo in cui l'ufficio è tenuto) determina la perdita dell'ufficio medesimo... 
Siccome la Costituzione, seguendo un principio di autonomia parlamentare di lunghissima tradizione storica (oggi, peraltro, assai discusso e non sempre in altri ordinamenti applicato), stabilisce che dei titoli di ammissione di un parlamentare giudica solo la Camera di appartenenza, una volta che il candidato è stato eletto, la convalida dell'elezione, e l'eventuale accertamento di sopravvenute condizioni ostative al proseguimento del mandato elettivo ricevuto, non sono compiuti (più) dalla magistratura ma, appunto, dalla Camera della quale l'onorevole fa parte. 
Fra le ipotesi di incandidabilità previste dal d.lgs. Severino che, se si verificano DOPO le elezioni, comportano decadenza, rientra anche la CONDANNA per reati che comportano una pena superiore ad un certo numero di anni. 
Ora, B., quando si è candidato, era già stato condannato, ma non in via definitiva e vigendo il principio, di rango costituzionale, della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, egli era ovviamente ancora candidabile. Ora, sceso il giudicato sul reato commesso di frode fiscale, dovrebbe applicarsi il d.lgs. Severino e dunque nei suoi confronti deve votare il Senato (che è la Camera alla quale B. appartiene ora: ed ha scelto di candidarsi lì, perchè sapeva bene che, col Porcellum e i premi regionalizzati, e il quadro politico di allora, era difficile che il PD-SEL avessero la maggioranza assoluta dell'Aula e potessero votare, senza o contro il PDL). Questo è il quadro giuridico. 
Non c'è dubbio che il d.lgs. Severino era applicabile al momento in cui la Cassazione si è pronunciata, e non c'è dubbio che parli di "condanna". In termini strettamente giuridici, quindi senza alcuna "soluzione politica" per garantire l'agibilità (politica) di B., tutto si risolve in una questione di interpretazione. Se si segue un'interpretazione "letterale" e chiara, il d.lgs. Severino si applica ogni qualvolta, esso vigente, è pronunciata una "condanna", visto che parla di "condanna". Quindi, per il futuro, la magistratura in sede di scrutinio di candidabilità, dovrà escludere B. dalle liste (per prossime elezioni politiche) e, nel presente, siccome la incandidabilità sopravvenuta dopo la convalida di un'elezione svoltasi determina decadenza, B. deve essere dichiarato decaduto dal Senato. Tuttavia, come i commenti prima del mio suggeriscono , è possibile anche un'interpretazione diversa. 
Si può cioè dire che, siccome la condanna avviene in base ad un fatto di reato, ciò che conta, quando si deve decidere dell'applicabilità del decreto Severino, non è il momento della condanna, ma quello della commissione del fatto di reato che la condanna ha successivamente accertato e imputato al reo. In questo caso, siccome i fatti di frode fiscale per i quali B. è stato condannato in via definitiva, DOPO l'entrata in vigore del decreto Severino, sono avvenuti PRIMA dell'entrata in vigore del decreto stesso, esso non dovrebbe essere applicabile al caso di B. (sarà applicabile a B., se avrà commesso dei reati dopo il gennaio di quest'anno che, arrivati a sentenza definitiva, importino condanne di intensità tale da rientrare nello spettro del decreto). 
Questa tesi, peraltro, va contro il dettato letterale della legge e contro anche l'applicazione che la magistratura ne ha fatto, visto che, nello scrutinare le liste per le politiche 2013, essa si è basata sulle condanne definitive già pronunciate PRIMA della candidatura e quindi, salvo forse qualche caso eccezionale e raro (che non credo manco ci sia!!), per fatti accaduti PRIMA che il decreto fosse varato visto che è del gennaio 2013 e le liste sono state fatte poco dopo. A sostegno di questa tesi, per quanto contraria alla lettera della legge e alla prima prassi applicativa, ci può essere il fatto che essa limita EX POST un diritto di elettorato fondamentale per Costituzione: vale a dire che io, quando ho commesso il FATTO (ieri) per il quale (oggi) sono CONDANNATO, non potevo sapere (perchè la norma è successiva) che avrei rischiato oltre al resto anche la incandidabilità. Collegata (ma diversa) questione (anche questa sul tappeto) è se l'interpretazione letterale, quella cioè che vuole che valga il momento della CONDANNA e non quello del REATO, sia o meno costituzionale. 
Un po' valgono le ragioni sopradette, cioè che essa implica limitazione EX POST di un diritto di elettorato passivo di rilevanza costituzionale e che, per questo motivo, potrebbe essere incostituzionale, e un po' tesi diverse. Da una parte si sostiene che, siccome la Costituzione prevede che la legge che stabilisce nuovi reati non può MAI avere effetto retroattivo, cioè non può mai riguardare FATTI avvenuti prima della sua entrata in vigore, questo dovrebbe valere anche per le conseguenze "accessorie" del fatto-reato rispetto alla pena principale, quali l'incandidabilità... solo che il punto è che, formalmente, la legge sulla incandidabilità non è una legge "penale" (non stabilisce un nuovo reato: il reato di frode fiscale era già previsto prima, tant'é che B. è stato condannato per fatti di anni fa). 
Allora si sostiene che, se il divieto di leggi "retroattive" è costituzionalizzato solo per la legge "penale", esso vale comunque, in generale, per tutte le leggi (anche non penali), come principio generale. Solo che, siccome tale principio non è codificato a livello costituzionale, la legge può sempre derogarvi, e vi sono innumerevoli esempi di leggi con effetto retroattivo (pensiamo al rientro dei capitali "scudati", tanto per farne uno). 
Insomma: bisogna procedere, logicamente, per fasi: a) nel suo tenore letterale la legge si applica perchè parla di "condanna" e non di "fatto"; b) è però possibile un'interpretazione - molto difficile perchè contraria al dato letterale e alla prassi applicativa - che si riferisce al "fatto" e non alla "condanna", allo scopo di evitare che - se quel che conta è il fatto e non la condanna, sempre che si sia d'accordo che conta il "fatto" e non la "condanna" - si finisca per dare un effetto retroattivo alla legge se la condanna avviene dopo l'entrata in vigore della legge per fatti precedenti ; c) se si adotta la prima interpretazione (retroattiva sul fatto) e si ritiene che questa sola sia possibile, bisogna stabilire se tale interpretazione è, o meno, costituzionale. 
Spero di essere stato chiaro. Tecnicamente è molto, molto complesso. E' molto più facile "buttarla" in politica... Ma così abbiamo elementi neutri per ragionare...

Federico Gustavo Pizzetti

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