venerdì 7 giugno 2013

L'ambiguità costituzionale





Pur essendo io favorevole a un semipresidenzialismo che ricalchi l'elezione dei sindaci, concordo pienamente con l'autore di questo bell'articolo che mette in evidenza il perchè di queste periodiche inutili  uscite che riguarderebbero le riforme dello stato.
Puntualemte rispuntano commissioni e saggi che, in modo molto leggero e insensato, discutono di come vorrebbero una nuova Italia.
Credo sia tutto inutile e come al solito il "ciarlare a vanvera" di noi italiani rispunta proprio quando sarebbe ora di rimboccarci le maniche

Lorenzo


L'ambiguità degli interventi costituzionali nel paese di disoccupati e aziende chiuse

Di  Corrado Stajano - Corriere della Sera


Ci si dimentica troppo spesso che il nostro è il Paese del melodramma. I masnadieri, le traviate, i ciarlatani, i re e le loro corti, i capitani di ventura sono tra noi con i loro odi, i loro complotti, i loro balli in maschera con delitto, le loro vendette, tradimenti, veleni, stilettate, ricatti. Le parole più amate nel circoletto della Repubblica, tra Palazzo Chigi, Montecitorio, Palazzo Madama e qualche centrale lobbistica, amicale, bancaria, sono conciliazione, condivisione, pacificazione. Come se potesse esistere una pacificazione senza verità, senza cancellare il male generatore di un conflitto politico e di costume di vita che dura da vent'anni. Come se potesse nascere dal nulla una comune Weltanschauung quando i princìpi degli sposi promessi assomigliano alle rette parallele che non s'incontrano mai o non esistono neppure.

Se i problemi da risolvere, tanti in un momento di gravissima crisi come questa che stiamo attraversando, non fanno un passo in avanti, spunta sempre, per guadagnar tempo, la proposta di una commissione, di un comitato di saggi scelti col bilancino del farmacista o, almeno, di un tavolo, come si suol dire.

Le larghe intese, il governissimo, sono da sempre, anche nei periodi di vacche grasse, il goloso miraggio di una certa classe dirigente nazionale. Ma che cosa ha messo nel carniere questo governo di grande coalizione a termine, nato dallo stato di necessità? Doveva essere la legge elettorale il suo primo impegno, sembravano tutti d'accordo, anche perché è stata proprio quella legge sballata a causare il gran pasticcio. E invece no. La riforma non è più prioritaria. Berlusconi preferisce mantenere il Porcellum. Anche nel centrosinistra c'è qualcuno titubante. Che cosa si fa allora quando nulla è chiaro, l'ambiguità è sovrana, le menti obnubilate?

Si accantona la legge elettorale, si punta su un vasto piano di riforme costituzionali, si tira fuori dal cilindro del prestigiatore un altro tema, il presidenzialismo che non era proprio nell'agenda del fare. Questa nuova scelta viene fatta mentre manca il lavoro, l'Ilva sta andando a rotoli, la metallurgia può scomparire dall'Italia come la chimica negli anni Settanta; chiudono ogni giorno le aziendine che rappresentano la struttura portante del Paese; la disoccupazione tocca livelli impressionanti, non soltanto giovanile, anche tra i cinquantenni che difficilmente troveranno un altro lavoro; gli esodati sono il doloroso test delle follie governative del passato; le grida d'allarme, dalla Banca d'Italia alla Confindustria alla Corte dei conti dovrebbero entrare negli orecchi e anche nei cuori.

Il ministero Letta-Alfano è sotto il perenne ricatto dei processi di Berlusconi. È già affiorata la minaccia che il governo salterà se il 19 giugno la Corte costituzionale darà torto al Cavaliere sul problema dei diritti tv Mediaset. La decisione consentirebbe infatti alla Cassazione di pronunziare entro l'anno una sentenza con la quale l'ex presidente del Consiglio potrebbe essere condannato anche all'interdizione dai pubblici uffici. E poi c'è in arrivo la sentenza Ruby. Davvero non è la nipote di Mubarak? Si potrebbe certificarlo con un decreto (condiviso). E pensare che ministri di paesi europei si sono dimessi per non aver pagato i contributi alla domestica a ore.

Le elezioni amministrative hanno fatto tirare il fiato al Pd che ha vinto quasi dappertutto. E questo dovrebbe trattenere il Pdl dai suoi ricatti elettorali. È stata impressionante la parola d'ordine dei partiti dopo quelle elezioni: il governo si è rafforzato. Chissà come: il distacco tra i cittadini e le istituzioni non è mai stato così profondo, un burrone.
Hanno messo in cantiere qualcosa i governanti delle larghe intese per cercar di colmare quel pericoloso rifiuto della comunità? La proposta sul finanziamento pubblico dimostra il contrario. Figuriamoci se nel diffuso clima di disprezzo per la politica i cittadini correranno a dar soldi ai partiti. Li daranno gli abbienti, a tutela dei propri interessi.

Ci sono altri problemi gravi di cui non pare ci si curi nella politica che ormai viene fatta con Twitter o con i brontolii gergali borbottati davanti alle giungle dei microfoni. Manca una voce alta e priva di retorica, capace di dare una speranza possibile al popolo che si è chiuso nelle proprie sicurezze private anche perché non comprende quel che sta accadendo. Nuto Revelli, lo scrittore del mondo degli sconfitti e di quello dei poveri — una saga di sapore medievale — sessant'anni dopo provava ancora angoscia nel ricordare la catastrofe dell'8 settembre 1943, l'armistizio, per quel che aveva visto e sofferto: lo temeva sempre di ritorno sulla porta di casa. Ma allora, diceva anche, ci fu poi la Resistenza e la Costituzione che rimangono l'identità seria di questo nostro Paese del melodramma (e della commedia dell'arte).

(6 giugno 2013)

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