lunedì 7 settembre 2009

Kant e la pace


Moralizzare la politica: un'utopia?
No, una condizione per la pace
Ancor oggi ha senso chiedersi se si possa ripulire il mondo della politica nazionale ed internazionale dalle figure più sconce ed immorali.
Chi ha memoria, sa che con Mani Pulite s'era solo iniziato... ed ora sembra d'essere tornati al punto di partenza.
Potremo mai uscirne?
Sono pessimista, però...tutto è possibile, se cresce la coscienza civile e quindi il potere d'influenza della ragione auspicato da Kant, che comunque era ben consapevole che senza moralità e ragione non si va avanti, anzi si torna indietro.
«La vera politica quindi non può fare nessun passo avanti senza prima aver reso omaggio alla morale e benché la politica in se stessa sia una difficile arte, tuttavia non è certo una tecnica la sua unione con la morale, infatti è questa che taglia il nodo che quella non è capace di sciogliere appena l’una e l’altra entrano in conflitto.
Il diritto degli uomini deve essere considerato sacro per quanto grande sia il sacrificio da pagare per il potere dominante. Quindi non si possono fare le cose a metà e inventare un termine intermedio di un diritto condizionato pragmaticamente (tra diritto e utile), ma ogni politica deve piegare le ginocchia davanti al diritto e può però in cambio sperare di raggiungere se pure lentamente quello stadio in cui splenderà senza posa [...].
Se c’è un dovere e se insieme a esso esiste una fondata speranza di rendere reale lo Stato del diritto pubblico, pur solo in una progressiva approssimazione all’infinito, allora la pace perpetua, che segue quelli che finora falsamente sono stati chiamati trattati di pace (in realtà sono solo armistizi), non è un’idea vuota, ma un compito, un compito che, risolto a poco a poco, si fa sempre più vicino alla sua meta poiché i tempi in cui succedono progressi uguali diventano sperabilmente sempre più brevi.»

Tra le cose che mi avevano più colpito quando lessi per la prima volta il Per la pace perpetua c'erano le considerazioni sul rapporto tra politica e morale nell'Appendice allo scritto.
Anche se non viene richiamato esplicitamente, il nome che aleggia in negativo su tutto il passaggio è quello di Machiavelli e l'ovvietà universalmente riconosciuta della massima cara a politici e tiranni di tutto il mondo e tutte le epoche: il fine giustifica i mezzi.
Per Kant, niente di più falso.
Se tutti ragionassero così, vivremmo in una jungla, anzi in un inferno, perchè a Kipling va ascritto il merito di aver chiarito che la legge della jungla giustifica solo gli animali che uccidono per procurarsi cibo secondo la loro natura. Dunque meglio la jungla che l'inferno.
Tuttavia, proprio il dispiegarsi del politico moderno, dei principi e dei despoti alla Machiavelli, costituisce la più radicale minaccia alla pace.
In teoria, dice Kant, non dovrebbe esistere alcun conflitto tra la politica in quanto dottrina pratica del diritto e la morale in quanto anch'essa dottrina del diritto. Kant dice quindi: nessun conflitto tra pratica e teoria del diritto.
Ma se si presenta la morale come una dottrina generale della prudenza, "una teoria cioè delle massime per scegliere i mezzi più validi per realizzare le proprie intenzioni calcolate sul vantaggio", si finisce col negare che esiste in generale una morale.
In realtà è l'arte politica a confezionare il detto: "siate prudenti come serpi."
Ed è la morale ad aggiungere: siate candidi come colombe."
Ma in questo si vede chiaramente il tentativo di iscrivere il politico in una dimensione cristiana piuttosto restrittiva, mentre le cose nella realtà non sono mai andate così. Nemmeno i Papi han fatto politica da cristiani.
Orbene, nonostante le difficoltà e gli insegnamenti negativi della storia, Kant non è pessimista: politica e morale possono congiungersi.
Questa è, anzi una delle condizioni della pace perpetua.
In questo quadro, Kant attua una distinzione (non troppo felice, a mio parere sotto il profilo delle definizioni) tra politico morale e moralista politico mirante ad evidenziare che solo il primo si muove nella piena legalità (morale e giuridica), mentre il secondo non rispetta i limiti e le regole, ordisce inganni, calunnia e ricorre volentieri a mezzi condannati dalla morale.
Sia che ciò avvenga all'interno di uno stato, sia che avvenga nei rapporti con gli altri stati, porta naturalmente alla guerra.
E' evidente che il cosiddetto moralista politico non è altro che un immorale, mentre il politico morale rischia di diventare nella sua versione più negativa, un moralista dispotizzante.

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